Gatti vegani

  • 19 aprile 2019
Gatti vegani

Nel tardo autunno scorso, quando l’isterismo Brexit non si era ancora pienamente maturato e i giornali britannici avevano ancora spazio per altro, c’è stata una breve tempesta mediatica riguardo a una “raccomandazione” della RSPCA — la Royal Society for the Prevention of Cruelty to Animals, la “protezione animali” — secondo la quale chi obbligava il proprio gatto a seguire una dieta vegana poteva star infrangendo la legge e rischiava addirittura di andare in galera per l’abuso commesso.

Un portavoce dell’Associazione ha infatti ricordato che, a differenza dei cani — abbastanza onnivori — i gatti sono dei carnivori obbligati e hanno bisogno di mangiare frequentemente la carne per restare in salute. Ha citato il codice criminale inglese secondo il quale i padroni dei pets debbano “intraprendere ogni azione necessaria per assicurare il benessere dei loro animali”, ricordando che “ciò comprende fornirgli una dieta adeguata” e che nel caso di abusi  gravi, si rischiava una multa pesante o perfino una sentenza penale per maltrattamento.

Il boom vegano pare ormai in declino, forse perché la grande maggioranza — il 70% secondo lo Humane Research Council americano — si stufa dopo un po’ e torna a mangiare la carne.

L’episodio inglese e la reazione che ha provocato mostrano però punti di similitudine con un altro fenomeno attuale, il movimento No-Vax, sia nella volontà di respingere le “verità scientifiche” sia nella scelta delle argomentazioni. Il “Tweet storm” vegano in reazione al consiglio della protezione animali verteva fondamentalmente su tre temi: “Sono la sua mamma e so io cosa fa bene al mio Fuffi”, “Che c’importa di cosa dicono quelle mummie di scienziati che ci rimpinzano di tanti veleni” e “Le loro ricerche sono pagate dai signori della Kitekat”. Rispecchiano da vicino il ragionamento No-Vax.

Questo è interessante perché, oltre al comune rifiuto dei risultati scientifici convenzionali, qui si annida un altro punto di condivisione tra il veganismo e il movimento anti-vaccino. Almeno nel mondo anglosassone, entrambi i fenomeni sono molto marcatamente femminili. Secondo i dati demografici, l’80 percento dei vegani americani sono piuttosto “vegane”. Percentuali simili, sempre con un margine ampio, sembrerebbero riguardare il fenomeno No-Vax, anche se quest’ultimo è più recente e meno studiato. Una ricerca apparsa su “Information, Communication & Society” e condotta da due studiosi australiani, Naomi Smith e Tim Graham — basata su un’analisi di due anni di “post” sulle pagine Facebook No-Vax più frequentate — dimostrerebbe, secondo gli autori, che il movimento sia “highly feminised” e che: “la vasta maggioranza dei partecipanti sono donne”.

In tutto l’Occidente, le donne hanno mediamente una preparazione scolastica migliore di quella degli uomini. Negli Usa, dove la tendenza è arrivata con ritardo, le donne che oggi prendono una laurea universitaria sono il 38% rispetto al 33% degli uomini. Si sa che le femmine leggono di più e comprano più libri. C’è chi attribuisce l’attrazione per le eresie mediche a un retaggio storico: le donne sono state tradizionalmente le “garanti” del benessere della salute della famiglia. Sarebbe dunque “culturalmente” coerente che si preoccupino maggiormente per i temi sanitari. L’ipotesi, con la sua visione retrograda del ruolo femminile, non è però universalmente gradita.

Su di me

James Hansen

James Hansen is a former diplomat and journalist. After serving in the American Foreign Service in various capacities, he was posted to the U.S. Consulate General in Naples as Vice-Consul. Remaining in Italy as a correspondent for, among others, the International Herald Tribune and the Daily Telegraph, he later became spokesman for some of the country's best known business figures, including Carlo De Benedetti and Silvio Berlusconi. More recently he acted as Chief of Press of Telecom Italia. Today he is President of a Milan-based consulting firm, Hansen Worldwide, which advises leading Italian industrial groups on their international relations. He has edited the geopolitical review EAST and today directs the widely-read Nota Diplomatica, which appears weekly.