La famigerata canga

  • 27 agosto 2018
La famigerata canga

Il cosiddetto “braccialetto elettronico” corrisponde in parte a un’idea più umanitaria della carcerazione, ma soprattutto è una reazione al costo molto alto di tenere i criminali in galera. Ha però dei difetti. Uno è la nota tendenza dei condannati a lasciarlo a casa quando decidono di non sottostare più alla pena. Un altro è che soddisfa poco la domanda popolare di “castigo”, di vedere puniti in qualche modo i malfattori per le loro cattive azioni.

Come molti altri problemi sociali di oggi, sono difficoltà già affrontate in passato, pure utilizzando le tecnologie allora disponibili. La particolare versione della gogna portatile illustrata qui sotto - una “canga” cinese dell’inizio ‘900 - ne è un esempio. Il nome deriva non dalla lingua del Paese, ma piuttosto dal portoghese, dove la canga è un giogo - oppure oggi, molto più comunemente, un pareo da mare.

Oltre al dettaglio dell’evoluzione linguistica, il congegno presentava delle caratteristiche molto particolari e forse non subito evidenti. Costava poco o niente, è chiaro. Chi veniva condannato a portarlo era spesso lasciato a piede libero. Oltre all’aspetto punitivo - a secondo della pena comminata, una canga pesava dai nove ai quindici kg - interferiva fortemente con molti aspetti della vita quotidiana, come il sonno. Impediva di proseguire nell'attività criminale ed era sia di monito al pubblico sia un’adeguata e visibile risposta sociale al male fatto, tra l’altro indicato da uno scritto visibile sul panello.

Offriva anche un insolito aspetto di interazione sociale, permettendo una sorta di giudizio democratico rispetto al criminale - e al reato commesso - da parte del pubblico e non solo dalla magistratura. Solitamente le sue dimensioni ostacolavano l’uso delle mani per mangiare. Il condannato, a secondo della durata della pena inflitta, poteva allora sopravvivere solo nel caso che qualcuno fosse disposto a nutrirlo imboccandolo. C’è da supporre che ciò potesse indurre un comportamento mansueto e collaborativo negli interessati - e che chi avesse commesso un crimine imperdonabile, o semplicemente ignorasse la cortesia, potesse invece morire di fame.

Il “braccialetto” è più uno strumento di controllo che una punizione, più un fastidio per chi lo porta che una pena. La canga, pur nella brutalità dei tempi, poteva - almeno in teoria - raggiungere anche uno scopo rieducativo. Il cinturino elettronico invece si attacca perlopiù alla caviglia, nascosto sotto i pantaloni. Poi, scaduta la condanna, si toglie. Tutto lì.

Un saluto per l’estate ormai in discesa, James

Su di me

James Hansen

James Hansen is a former diplomat and journalist. After serving in the American Foreign Service in various capacities, he was posted to the U.S. Consulate General in Naples as Vice-Consul. Remaining in Italy as a correspondent for, among others, the International Herald Tribune and the Daily Telegraph, he later became spokesman for some of the country's best known business figures, including Carlo De Benedetti and Silvio Berlusconi. More recently he acted as Chief of Press of Telecom Italia. Today he is President of a Milan-based consulting firm, Hansen Worldwide, which advises leading Italian industrial groups on their international relations. He has edited the geopolitical review EAST and today directs the widely-read Nota Diplomatica, which appears weekly.